Una puntata, o due, non può (possono) mettere in discussione una stagione.
Perché per scrittura, intensità, visceralità e atmosfera, questa terza parte è stata sontuosa. Forse non è stata chiusa nel migliore dei modi possibili - il finale della storia dei Larsen è stato perfetto e molto più toccante e intenso - ma mi è piaciuta tantissimo.
Vederla di seguito, anche due puntate alla volta, mi ha fatto apprezzare moltissimo la struttura complessiva, granitica e inscalfibile fino all'ultima mezz'ora. Poi qualcosa scricchiola, alcune cose sono francamente troppo "facili" per la complessità cui
The Killing ci ha abituati (l'anello regalato alla figlia, la caratterizzazione di Skinner - ottima per 10 puntate poi un po' troppo schematica).
Ma io prendo il pacchetto completo e me lo porto a casa con grande soddisfazione.
Resta (e resterà) impressa nella memoria la descrizione dei bassifondi in cui si muovono le adolescenti, molto
without a cause e poco
rebels, annientate da un cinismo e da un abbandono raramente raccontati così bene. Bravissime e credibilissime le giovani attrici, tra cui emerge l'interprete di
Bullet, uno dei migliori personaggi mai scritti per una serie tv. Stupenda.
Il torbido e il marcio che accompagnano lo svolgersi della vicenda si impreziosiscono di continui rimandi al passato (il detenuto Ray Seward - un immenso Peter Sarsgaard - e l'uccisione della moglie, i trascorsi tra Linden e Skinner, la riflessione sul ruolo di genitore) e anche nel presente trovano una riuscitissima collocazione le nevrosi della guardia carceraria, i tentativi di riscatto dei giovani sbandati, il rapporto tra
Linden e
Holder (indimenticabile il siparietto in auto, con il detective che sfotte la collega per le sue puriginose avventure erotiche con il superiore) e l'inserimento di un personaggio-chiave, molto utilizzato all'inizio e di nuovo determinante nel finale, come Reddick.
Tutto torna, non ci sono problemi di onestà degli autori. Non ci hanno portato da una parte e poi, scorrettamente, ci hanno detto che non era vero nulla e l'assassino era un altro. L'assassino era, in effetti, un altro ed è il modo in cui ci si arriva che può deludere.
C'è stata, forse, una impasse creativa che ha portato ad uno scioglimento un po' frettoloso della vicenda ("imperdonabile" anche il colpo sparato da Linden nel finale), ma tutto il lavoro di costruzione della vicenda, ramificazione degli indizi e relativi equivoci, crescita dei personaggi e pathos è da 10.
Grande stagione, sempre più contento di averla vista dopo il superficiale sospetto che me l'aveva fatto accantonare.
Ora, con calma, parto per l'ultimo giro. Per rinviare ancora di un po' il saluto ai miei due detective preferiti
