Un borghese piccolo piccolo di Monicelli
Chi lo ha definito la pietra tombale della commedia all'italiana ha colto il punto della questione.
Quello che inizia come l'ennesimo esempio di commedia sulla scalata sociale di un borghese prende presto una piega inquietante, esoterica, oscura... e il midpoint del film (con quell'indimenticabile e straziante "è mio figlio!" urlato da Sordi) è l'inizio dell'incubo. Il punto di non ritorno dell'ironia, l'apocalisse della comicità oltre cui c'è solo morte e perdizione.
Assolutamente emblematica la scena in cui un prete sentenzia una condanna all'umanità: per 26 anni la commedia all'italiana (da quel capolavoro che fu Divorzio all'italiana di Germi) ha deriso e inquisito, ma forse anche assolto con una risata, gli italiani... Monicelli chiude invece il discorso di questo genere cinematografico, uno dei migliori e più importanti di tutta la storia del cinema, con una condanna a morte senza possibilità di appello.
Perfetta la scelta di Sordi nel ruolo del protagonista: la più grande maschera del cinema italiano, che ha in sé tutta la malignità della commedia all'italiana e di tutte le sue derivazioni più tragiche (La grande guerra, Detenuto in attesa di giudizio, Tutti a casa, Lo scopone scientifico ecc.), non poteva che portare alle estreme conseguenze il genere in questione.
Una pietra miliare, di quelle che oggi l'Italia non sa neanche immaginarne.
Si racconta che sul set vi furono parecchi dissapori tra Monicelli e Sordi: il primo voleva imporre al secondo un taglio recitativo meno sornione e più votato a sottolineare la sgradevolezza piccoloborghese del personaggio, pare avesse in mente un film più strettamente "a tesi", e Sordi - che era una straordinaria maschera di "italiano medio" anche perché ERA un italiano medio - rispondeva serafico "ao', a me me sta simpatico"

A posteriori, visto il risultato, Iddio lo benedica, perché senza quella piacioneria iniziale la parte finale non avrebbe mai avuto una tale potenza.
Consiglio, a chi non lo avesse visto,
La più bella serata della mia vita di Scola, sempre con Sordi protagonista, tratto da un racconto di Durrenmatt. Non ha la stessa potenza tragica, che viene sublimata nel grottesco, ma condivide (in questo caso letteralmente

) l'idea del "processo" ai vizi piccoloborghesi.