Eccomi qui, a scrivere il post che non avrei mai voluto scrivere.
Dopo quasi due anni di visione ho terminato Mad Men.
Inizio dalla fine. In un contesto televisivo, la fine intesa in maniera concreta, una vera e propria fine, non esiste. Un finale, che sia esso happy-ending o meno, lo si può avere ovviamente in base al punto nel quale si decide di voler interrompere quella storia. Nel caso di un racconto di vita (perchè è di questo che si tratta) come Mad Men, di finali ce ne sono stati svariati, sempre però seguiti da nuovi inizi.
E allora Mad Men ha scelto come suo finale ufficiale nient'altro che Coca Cola. Il che trasmette, di cuore e di testa, una potentissima coerenza e una sensazione di ciclicità, di cerchio che si chiude, veramente maestosa ed intelligente (come è sempre stato questo show). Da Lucky Strike a Coca Cola, eccolo il cerchio che si chiude (per poi chiaramente proseguire off screen perchè, come ho detto, un finale totale non poteva esistere). Due prodotti tanto diversi quanto vicinissimi, entrambi tossici, nocivi e dannosi per la salute. Come vendere dei prodotti simili? Semplicemente, non vendendo i prodotti, ma vendendo , una proiezione di essi, una finzione. Un'illusione che in questo contesto è perfetta: il parallelismo tra Don stesso e lo spot finale della Coca Cola crea quell'illusione, l'american dream, che è sempre stata lì, stagione dopo stagione. Don, infatti, agli occhi di tutti è il self-made man per eccellenza: la vita gli ha assegnato un destino ma lui si è appropriato del nome di un altro uomo ed è riuscito a costruire il suo futuro su quel nome, con quell’identità. Un uomo cresciuto immerso e circondato dalla povertà economica e dalle miserie umane ma che ora può vivere di rendita senza lavorare un giorno in più.
Coca Cola che è anche il tassello mancante, un pezzo di puzzle (non l'ultimo) fondamentale per porre il quadro generale nella corretta prospettiva. L'uomo che cade, il mad man in giacca e cravatta, precipitante dal grattacielo newyorkese circondato da pubblicità. Non è mai stata la caduta, e gli annessi presagi di morte, la risposta. La risposta era nei secondi seguenti, nell'uomo che atterra comodamente sul divano con una sigaretta accesa in mano e, chissà, nell'altra proprio una Coca Cola. Il lungo viaggio di Don Draper, l'eterna odissea della sua vita, non l'ha portato ad essere un uomo migliore (da questo punto di vista il credo dello show è sempre stato piuttosto definito) bensì un pubblicitario migliore. Così come il tema del doppio, del Doppelgänger, non è mai stata "l'uccisione" di Don per far emergere Dick, ma è stato un lungo processo per fondere, inglobare, Dick dentro Don. E per quest'ultimo di emergere definitivamente. Quest'ultimo episodio non fa che rafforzare questa immagine.
Person to Person, le connessioni umane. Don che viene abbandonato da Stephanie, l'ultima persona, dopo la morte di Anna, che lo vedeva come il vero Dick. Cosa rimane di Don a questo punto? Rimane una nuova consapevolezza, la più importante, quella di essere stato, e di essere, amato. O perlomeno, di essere importante per qualcuno. E' con questo che si spiega quella catarsi, l'abbraccio con lo sconosciuto che ha raccontato il suo sogno, o meglio incubo, del frigorifero. Don è sempre stato importante, quando qualcuno apriva il frigorifero era a lui che sceglievano, nessuno ha mai guardato da un'altra parte. Ma oltre a questo, Don realizza che di gente a cui importi di lui e che a lui voglia bene ce n'è stata e ce n'è tanta. E questo, per iniziare, è proprio ciò di cui aveva bisogno, perchè "The best things in life are free", e sapere di possederle è una grande gioia: Betty, i figli, la stessa Megan, Peggy, Roger ("You are ok") e l'interessamento di tanti altri. E tutto questo perchè in fondo Don è un uomo buono, o almeno io lo considero tale. Tormentato, è stato un marito infedele, spesso meschino, scorretto, egoista e vile, ma alla fine di gesti genuini e spontanei ne ha fatti tantissimi: è stato l'unico ad opporsi all'idea di accontentare un cliente bruciando e materializzando la persona Joan, è lui che ha portato alla nascita del fenomeno Peggy Olson salvandola dal destino di classica segretaria, è lui che nonostante tutto ha dato come promesso una quantità enorme di denaro a Megan dopo il divorzio, è lui che è si è fatto amare, anche soffrendo, dai suoi figli per quello che era, persino da Sally che, nonostante lo shock e il disgusto causatole nel finale della sesta stagione, è tornata a dirle un sincero "I love you". Don Draper è stato un alcolizzato depresso, ha pianto e bevuto, ha toccato il fondo nei momenti in cui temeva il suo segreto venisse scoperto. E cos'ha capito? Che poteva accettarlo. Cooper a suo tempo fece spallucce, Betty chiese il divorzio ma fondamentalmente lo accettò, Megan e Fay lo compresero subito, in The Milk and Honey Route tutti i reduci di guerra provarono empatia col suo racconto perchè "Questo è ciò che si faceva per tornare a casa". E non era di certo l'unico in quel periodo storico a vivere sotto falsa identità: lo dimostrano sia la versione giovane di Don sempre in The Milk and Honey Route sia Bob "Not Great" Benson. You are ok, Donald, in fin dei conti.
Ho sempre trovato nell'immagine di Don che si specchia in una vetrina di manichini nudi una perfetta metafora, e sintesi, dello show. Un elemento in costante ricerca di un posto nel mondo, un elemento estraneo al suo tempo ma che in qualche modo riusciva sempre ad incastrarvisi dentro. "Who is Don Draper?" è sempre stato il motto: Don Draper è sempre stata l'immagine pubblica di Dick Whitman, la maschera che lo ha fatto andare avanti, sopravvivere, che ha permesso la scalata sociale. Finchè, tra alti e bassi, infinite cadute e tentativi più o meno riusciti di reinventarsi e rialzarsi, Dick Whitman è diventato Don Draper. Non può esistere l'uno senza l'altro, in fin dei conti.
Basterebbe Don Draper, probabilmente il più complesso personaggio mai apparso in tv, a rendere Mad Men un capolavoro. Ma fortunatamente Mad Men è tanto altro. Prima di tutto, regia e sceneggiatura. Il lavoro compiuto da Weiner è di un'immensità non esprimibile a parole, perchè è qualcosa di oggettivo, concreto, ma allo stesso tempo molto astratto, che vive di sensazioni e atmosfere. Ecco, appunto, le atmosfere. Uniche e irripetibili, assolutamente irriproducibili proprio perchè uniche: durante ogni episodio si aveva una sorta di percezione, di consapevolezza, di stare guardando un episodio di Mad Men. Il tutto ha creato un mosaico, una visione d'insieme inconfondibile. Ma ripeto, è difficile da esprimere a parole.
Passando poi alla sceneggiatura, qui invece sono gli applausi a non rendere giustizia, non importa quanto lunghi possano essere. E non parlo tanto dei dialoghi eccelsi, quanto della costruzione concettuale che sta dietro ogni singola scena di ogni singolo episodio. Un lavoro maniacale mostruoso, un qualcosa che non avevo mai visto prima con questa costanza e su questo livello. Se ci ho messo quasi due anni a terminare la visione, oltre che per immenso amore dell'insieme, è anche per questo appagamento e voglia di riflettere che ogni episodio mi lasciava.
Attorno a Don Draper, poi, si sono mossi una quantità enorme di personaggi, anzi persone, meravigliosamente caratterizzate, con una complessità in costante evoluzione, tra le migliori mai apparse sullo schermo. Roger Sterling, l'esilarante adulto infantile, in costante conflitto col mondo, tra matrimoni falliti e trip con l'LSD per farlo sentire vivo, trova la sistemazione finale con Marie Calvet, la sua versione femminile. Peter Campbell, un personaggio a suo modo ancora più complesso, che è passato dall'essere inizialmente meschino, antipatico e rancoroso ad una fase di patetismo e pena, fino ad arrivare alla fine dove non potevo non volere il meglio per lui che, dopo una lunga maturazione, è diventato un umano al quale volevo genuinamente molto bene. I momenti strappa lacrime maggiori in questa stagione finale me li ha regalati proprio lui.
Poi passiamo alle donne. E qui non ho dubbi: Mad Men ha avuto i migliori personaggi femminili della storia della televisione.
Betty Draper, il cui personaggio fu il primo che amai nella prima stagione, una Grace Kelly che sembrava volersi ribellare alla convenzione di donna-moglie-casalinga sparando in vestaglia ai piccioni del vicino, per poi rivelarsi essere una insoddisfatta grande bambina incapace di maturare, si è fatta odiare a lungo, ha trovato un secondo marito semplice ma fondamentalmente buono e che l'ha amata anche più di quanto meritasse, fino ad arrivare al tragico epilogo finale, l'epilogo più concreto, e tragico, di tutti. Una malattia che viene accettata, non combattuta per le giuste ragioni, che affronta da donna matura e che la porta a lasciare a Sally l'eredità di se stessa, apprezzandola per quello che è in maniera genuina dopo tutti quei conflitti che le hanno riguardate a lungo. Una malattia che è anche metafora di Betty stessa, un personaggio relegato al suo ruolo per tutta la serie, talmente ancorata al passato da non potere tragicamente andare avanti, un personaggio che appartiene all'epoca delle casalinghe degli anni '50 e non all'epoca delle Ms. Robinson e delle laureate. La telefonata finale con Don è particolarmente toccante perché Betty sta morendo ma anche, forse soprattutto, perché Betty conosce Don meglio di quanto lui non conosca se stesso.
L'altra persona a conoscere Don meglio di quanto lui conosca se stesso è, ovviamente, Peggy Olson. Peggy che è La protagonista di Mad Men, forse al pari di Don, forse un personaggio addirittura migliore di Don. Peggy è The New Girl, la ragazza sempre al passo coi tempi indipendentemente dal periodo storico in cui si trova, Peggy è la ragazza cristiana che arriva a Madison Avenue e la conquista piano piano senza bisogno di vendere se stessa, Peggy è l'affermazione del mondo femminile negli anni 60, Peggy è la scalata sociale da segretaria a copywrighter. Peggy è anche la metà spirituale di Don Draper, ed è dalle interazioni tra i due che Mad Men ha prodotto i momenti più iconici della serie e tra i migliori della televisione: dal tentativo di flirt nel pilot, specchio del modo di fare dell'epoca, passando per la scena in ospedale dopo il parto di lei, l'immortale The Suitcase (l'episodio di mezzo della stagione di mezzo, il bottle episode dove succede tutto e nulla, la puntata più bella di Mad Men e l'ora di televisione più bella che abbia mai visto), Peggy che lascia l'agenzia, la danza tra i due nella settima stagione, Don che la prepara al discorso per Burger Chef, arrivando fino alla telefonata dell'episodio finale, con la confessione di Don. Altra rappresentante della scalata sociale e dell'affermazione femminile è, seppur in maniera diversa, Joan. Un percorso il suo che ha avuto come ostacolo quella che era stata presentata come la sua arma, ovvero la sensualità e l'aspetto fisico. Joan che ha dovuto vendere la propria dignità per ottenere un cliente e una promozione, che ha avuto a che fare con un marito che l'ha abbandonata, che ha cresciuto un figlio da sola, che nel finale è pronta ad affrontare da sola l'ennesima sfida, con la sua agenzia e con i suoi due cognomi sulla porta.
Poi Megan Calvet come esempio di donna libera e indipendente, Sally Draper come emblema della ribellione e della nuova generazione al passo coi tempi passo coi tempi, le segretarie di Don, Rachel Menken, Sylvia Rosen e tante altre.
Mad Men è come il carosello descritto da Don nel finale di stagione del primo episodio, è una macchina del tempo. Un mix perfetto di realtà storica, simbolismo, psicologia sociale e rappresentazione della natura umana. Quando inserisce la storia nella storia, la realtà nella narrazione, non sbaglia ovviamente un colpo: ne sono un esempio The Grown Ups con l'assassinio di JFK e The Flood con quello di Martin Luther King, ma anche quello della morte di Marylin Monroe, o l'avvento del personal computer, o la messa in scena della cultura hippie, del movimento Hare Krishna e dello sbarco sulla luna, l'ultimo evento visto dal grande Bert Cooper.
Altro aspetto che rende Mad Men speciale è quello dei brani musicali, sempre sul pezzo, sempre perfetti. In sette stagioni abbiamo avuto: Bob Dylan, Rolling Stones, "Babylon", "The Great Divide", Frank e Nancy Sinatra, i Beach Boys nell'episodio di Roger sotto LSD, Both Sides Now nel finale della sesta stagione, End Of The World di Skeeter Davis, Everyday e tante, tante altre. Insomma, l'immensità.
Tutti questi aspetti, combinati tra loro, insieme a tanti altri, dallo sperimentalismo (Far Away Places, The Crash, A Tale Of Two Cities) all'ironia grottesca di alcune situazioni (lo storico tosaerba in ufficio, Roger che vomita le ostriche, il tip tap di Ken, la morte di Ms. Blankenship, Don ubriaco in ufficio alla presentazione di Life Cereals), ai momenti di drama puro (i flashback di Don, il "sacrificio" di Joan, la morte di Lane Pryce, la lettera di Betty a Sally) hanno reso Mad Men un pacchetto completo di perfezione, di classe, coinvolgimento ed emozioni.
Per sette stagioni senza alcun calo, Mad Men ha fatto toccare il fondo ai suoi personaggi parecchie volte, ma mai per sadismo. Ha raccontato storie di vita, di morte, di uomini, di donne, del passato, del presente e con uno sguardo sempre al futuro, ha raccontato l'Est e l'Ovest, la fredda New York e la calda California. Ha protratto l'American Dream, messo in scena nei dettagli un decennio di storia. Si può dire che Mad Men sia il Grande Romanzo Americano. A parole non riesco a quantificare quanto sia stata importante questa visione per me, quanto in questi due anni Mad Men mi sia entrata dentro, quanto l'abbia venerata durante ogni visione, quanto sia riuscito ad amare queste anime in pena e solitarie, quanto sia diventata la mia serie preferita in assoluto. E quanto sia la migliore serie di sempre.
Grazie, grazie, grazie in eterno a Matthew Weiner per questo prodotto. Immortale.