Ma no, dai, alla fine non è abominevole come poteva sembrare, pur continuando a rimanere effettivamente bruttarello forte.
La settima ha la ben magra consolazione di essere, a mio gusto, la migliore o una delle migliori dell'intera trilogia, per atmosfera, stilizzazione e ritmo. Si cita """genialmente""" Quattro matrimoni e un funerale, che qui diventa Due funerali (di cui uno sventato) e un matrimonio.
Si punta senza reticenze al melò e al sentimentalismo più grondante e sbracato, in quella che mi è parsa una stilizzazione teatrale anche nell'uso degli spazi e del corpo attoriale, con un inseguimento in macchina nella campagna brianzola piazzato a 3/4 della puntata, che fa molto tardo sleazy-spaghetti trash novantiano. Magari si fosse tenuta sempre su questi toni e umori! Poco importa, alla fine, se si corre col fiatone per chiudere in fretta e furia tutte le linee narrative, se l'indagine viene liquidata in modo che più sbrigativo non si può, se l'intera struttura dialogica e il tratteggio delle psicologie sono una roba da mettersi le mani nei capelli, se, infine, nella foga di finire il temino prima che suoni la campanella si perdono allegramente per strada verosimiglianza, dignità e coerenza narrativa; questo è pur sempre un fumettone svelto camp e pop, non certo l'"Italian tabloid" tanto ventilato. A ben pensarci, è lo stesso Accorsi a fornire quella che è la vera chiave di lettura della serie, citando, in una delle primissime puntate di 1992 "Storia dell'Italia a fumetti" di Enzo Biagi.
Il finale di stagione, che compie un balzo temporale assolutamente fuori dalle possibilità delle sue fragilissime gambe per sottolineare la continuità tra quella stagione giudiziaria e una contemporaineità dominata da disintermediazione, post-verità, dal profilarsi all'orizzonte di nuovi populismi, e da una ricchezza sempre più astratta, volatile e preda di algoritmi impazziti, è veramente tra le cose più patetiche viste su uno schermo da parecchi anni a questa parte.
Voto 5, con parecchia generosità.
